L’arte di parlare a tutti: l’avvento della radio
Con l’avvento della radio, in epoca moderna, la musica ricopre da subito un ruolo basilare per quanto riguarda la programmazione: i concerti vengono infatti sponsorizzati dagli inserzionisti. Non vi è ancora un vero e proprio messaggio in musica tipo jingle, ma la pubblicità è recitata nominando quale inserzionista renda possibile al pubblico l’ascolto del concerto. In seguito questi messaggi vengono affidati a delle “vedettes” della canzone, una sorta di testimonials che, parodiando i loro successi, cantano la marca su richiesta dell’inserzionista. Si avrà modo di parlare dell’impiego attuale di testimonials musicali in pubblicità nel terzo capitolo.
Incorporando una melodia familiare, il messaggio pubblicitario diventa immediatamente riconoscibile e memorabile per chi ascolta. L’obiettivo è creare un legame persistente, sia impiegando una linea melodica suggestiva prima o durante il messaggio, sia sfruttando somiglianze sonore o di significato tra il testo di una canzone celebre e quello dell’annuncio.
Sulla base di J. PARSONS, “I perfezionamenti della pubblicità radiofonica”, Vendre 84, novembre 1930, pp. 406-407 in J.R. JULIEN, Musique et publicité. Du cri de Paris…aux messages publicitaires radiophoniques et télévisés, p. 223.
Nascono così gli annunci musicali distinguibili in annunci illustrati e annunci cantati: una sorta di musica del prodotto che trae le sue origini direttamente da quei gridi, spesso scombinati, che avevano permesso agli ambulanti, nel tempo, di comprendere le potenzialità identificative del messaggio musicale. L’annuncio illustrato utilizza il segnale sonoro con funzione introduttiva e demarcativa, mentre l’annuncio cantato è la canzone parodistica.
La canzone parodistica ha la possibilità di essere facilmente memorizzata dagli ascoltatori.
Quando il pubblico ricorda in modo semplice e automatico un ritornello o una coppia di versi – anche se ha finito per dimenticare da dove provengono, sentendoli come se fossero una verità presente nella memoria quasi da sempre – significa che l’obiettivo della pubblicità è stato pienamente conseguito.
Rivisitazione delle parole di J. PARSONS, “I perfezionamenti della pubblicità radiofonica”, p. 407 in J.R. JULIEN, Musique et publicité. Du cri de Paris…aux messages publicitaires radiophoniques et télévisés, p. 225.
Nell’articolo dedicato ai gridi medievali vale a dire la forma primitiva di jingle della marca, è stato preso come riferimento il manuale di J.R. JULIEN, Musique et publicité. Du cri de Paris…aux messages publicitaires radiophoniques et télévisés che affronta anche il caso radiofonico francese, dove le trasmissioni vengono diffuse da una radio pubblica e da una miriade di piccole radio private pagate dalla pubblicità fin dal 1922.
La Radio in Italia: il rapporto fra musica e pubblicità
Concentriamoci ora sul caso radiofonico italiano, tracciandone brevemente le tappe.
L’inizio delle trasmissioni radiofoniche regolari in Italia si situa nell’autunno del 1924, lanciate da un concerto sinfonico d’apertura. Ma fu di fronte all’elevato costo per mantenere il servizio che si considerò di introdurre un canone da parte degli utenti. Tuttavia, questa misura non fu sufficiente a bilanciare le spese. Di conseguenza, nel 1926 nacque la Sipra (Società Italiana Pubblicità Radiofonica Anonima) allo scopo di acquisire fondi aggiuntivi attraverso la pubblicità. Con gli anni ’30, la radio iniziò poi gradualmente a diventare parte della quotidianità, trovando spazio non solo nelle abitazioni private ma anche nei luoghi pubblici come piazze e locali di ritrovo.
Liberamente ispirato a F. BRIGIDA, P. BAUDI DI VESME, L. FRANCIA, Media e pubblicità in Italia, Milano, Franco Angeli, 2001, pp. 157-158
Nel 1944 nacque la RAI (Radio Audizioni Italia) e nel 1946 vennero istituite due reti quella azzurra e quella rossa, poi nel 1950 venne attivato un Terzo Programma che si occupava maggiormente di cultura. Nello scenario radiofonico, le radio private non trovarono spazi comunicativi fino agli anni ‘70 quando, in condizioni di piena illegalità, delle emittenti iniziarono a trasmettere le proprie trasmissioni, mettendo in discussione il monopolio Rai presente fino a quel momento. Solo nel 1990, con la “legge Mammì”, questa situazione precaria e selvaggia venne disciplinata, attraverso l’accettazione di una condizione che per molti anni aveva operato illegalmente.
Lo scopo delle prime trasmissioni radiofoniche e della pubblicità degli inserzionisti è essenzialmente quello di raggiungere la maggioranza del pubblico, in altre parole l’acquirente medio, facendo sì che questo familiarizzi con il motivo pubblicitario. Questo può avvenire, come attualmente, con una ricerca attenta del ritornello o dell’orecchiabilità della melodia. E ciò che s’intende immediatamente è come la pubblicità radiofonica, per ottenere maggiori consensi, vada associata e prevista con i programmi che avranno l’impatto più forte sul pubblico e che, di conseguenza, lo attireranno maggiormente.
La radio come mezzo pubblicitario ha il vantaggio di toccare un audience vasto, diversificato e sparso in tutto il mondo. E’ importante poi sottolineare che, a differenza dei giornali, dove i lettori possono facilmente ignorare le pubblicità sfogliando le pagine, nella radio questa possibilità è davvero limitata. È raro, infatti, che gli ascoltatori scelgano di spegnere il dispositivo mentre va in onda la pubblicità, preferendo invece attendere che finisca per continuare ad ascoltare la programmazione musicale.
Ispirato a C. CACCIARI, V. MICCIANCIO, La parola via etere. Suoni, rumori e silenzi nella pubblicità radiofonica, Milano, Franco Angeli, 1999, p. 21
I primi annunci pubblicitari vengono effettuati dalle stesse voci delle annunciatrici, (che per molto tempo rimasero solo femminili) negli intervalli dei concerti, o tra la prima e la seconda parte delle trasmissioni d’opera. Anche in Italia, come in Francia, la musica ricopriva un ruolo fondamentale della programmazione, e gli inserzionisti offrivano al pubblico l’ascolto delle trasmissioni. I primi annunci vennero diffusi da Milano, e poi da Torino e da Roma e, essendo di carattere locale, essi impiegavano le forme dialettali del luogo.
In seguito gli annunci si raffinarono e, da dialoghi con rime, iniziarono a basarsi su brevi motivi musicali. Siamo ai primordi del jingle secondo il significato moderno.
Nel 1966 si festeggiano i quarant’anni della pubblicità in radio con il lancio di una novità: “Punto e Virgola”, un evento significativo che segna una svolta. Fino a quel momento, infatti, gli annunci radiofonici venivano semplicemente letti dalle annunciatrici. Da allora in poi, gli inserzionisti ebbero la possibilità di creare personalmente i propri spot pubblicitari, della durata di 30, 40, o 60 secondi. Questo rappresenta l’introduzione dei Radiotempi, caratterizzati dall’impiego di voci particolarmente adatte, nonché dall’uso di musica ed effetti sonori per un maggiore impatto.
Tratto liberamente da C. JANNACONE, La radio, un medium vincente, Milano, Lupetti & Co., 1996, p. 48
La radio si pone da subito come uno strumento dedicato ad un pubblico assai eterogeneo; il suo ascolto risulta possibile sia in ambito privato, andando ad identificarsi con la famiglia che vi si riuniva intorno durante l’ascolto (proprio come avveniva fino a poco tempo fa per la televisione), sia allontanandosi dalle mura domestiche rendendo l’ascoltatore in un certo senso cittadino del mondo.
Il ruolo della voce nella pubblicità radiofonica
La voce, i suoni e i rumori, risultano fin da subito elementi importanti per la comunicazione radiofonica che non può prescindere da essi per ricreare e consegnare all’ascoltatore determinate atmosfere, altrimenti di difficile resa. Non vi è ancora una segmentazione dei pubblici come avviene ai giorni nostri, ma la radio si propone come il primo mezzo di comunicazione di massa, capace di parlare con tutti, organizzando testi e suoni e soprattutto con una particolare attenzione alle voci impiegate.
Le voci sono il veicolo del messaggio, sia nella programmazione, sia pubblicitario. La cura dell’aspetto vocale che, si necessita per lo spot televisivo, va amplificata per quanto riguarda il mezzo radio, proprio per la mancanza di immagini esplicative. Si comprende fin dall’inizio delle programmazioni come sia necessario organizzare in modo scrupoloso sia le voci che i suoni, poiché essi si pongono come intermediari del mezzo e dell’inserzionista nel rapporto con la miriade di ascoltatori tra loro differenti.
Va considerato che il messaggio trasmesso dalla radio si rivolge ad un pubblico ampio e variegato, che comprende individui dotati di apparecchi radiofonici. Questo pubblico è caratterizzato da un’estrema diversità, con persone che hanno vari gradi di conoscenza e consapevolezza, differenti bagagli culturali, oltre a esigenze e abitudini di consumo eterogenee.
Il linguaggio utilizzato nelle trasmissioni radiofoniche fa molto di più di veicolare semplicemente informazioni: offre una chiave di lettura del mondo circostante, suggerendo modelli di comportamento e stili di interazione sociali.
Interpretando il punto di vista di C. CACCIARI, V. MICCIANCIO, La parola via etere. Suoni, rumori e silenzi nella pubblicità radiofonica, p. 35
La radio si pone pertanto, fin dai suoi esordi, come un mezzo dalla comunicazione non facile per l’assenza di quella componente di visual che aveva caratterizzato i rapporti interpersonali e vocali fino a quel momento. Anche la pubblicità radiofonica, liberata da quelle forme testuali pronunciate dalle annunciatrici, deve sfoderare la propria creatività nel presentare il prodotto o la marca, evocando nell’ascoltatore tutto ciò che non c’è per la mancanza delle immagini.
Così, le parole, i silenzi, i rumori e i suoni costituiscono il campo di esperimento per esplorare fino a che punto può estendersi la creatività comunicativa, mantenendo però come imperativi che il messaggio sia conciso, chiaro e ricco di informazioni.
Rivisitazione del pensiero di C. CACCIARI, V. MICCIANCIO, La parola via etere. Suoni, rumori e silenzi nella pubblicità radiofonica, p. 9
E soprattutto, che il messaggio non sia irritante, troppo ripetitivo, banale o di cattivo gusto. Lo spot radiofonico, forse più di quello televisivo, per l’intrusività che talvolta lo caratterizza, deve osservare, a maggior ragione, quanto verrà approfondito nell’articolo sui gusti e suscettibilità del pubblico.
Nel registro verbale lo spot radiofonico trovò e trova tutt’oggi l’espressione più importante con cui tradurre determinate informazioni. Perché non si riduca ad una pura razionalizzazione dei contenuti, questo registro fa ricorso anche a quello sonoro sfruttando le potenzialità della punteggiatura musicale, di brani di sottofondo, di musiche famose associate alla marca, con cui rompere la monotonia dei dialoghi veri e propri. La pubblicità radiofonica, da sempre, deve mirare ad essere ancora più incisiva di quella proposta sugli altri media perché, il fatto di essere veicolata da un mezzo che accompagna gli individui ovunque vadano, la fonde con tutta la molteplicità delle informazioni facendola emergere molto poco. Il mezzo radio ha sempre prospettato il rischio di apparire come un sottofondo, quello che A. Crissel chiama “carta da parati acustica”.
La questione è particolarmente delicata e acquisisce un significato diverso quando si tratta di trasmettere uno spot pubblicitario che ha l’obiettivo di persuadere e rendere memorabile un marchio o un prodotto. Il pericolo che lo spot sia eccessivamente ripetitivo o, peggio ancora, completamente ignorato, è maggiore rispetto ad altri media.
Tuttavia, il vantaggio dello spot radiofonico è che esso viene sussurrato direttamente all’ascoltatore, stabilendo un dialogo diretto con il consumatore. Stranamente, però, proprio a causa del carattere personale, intimo e diretto dell’ascolto radiofonico, la pubblicità mandata in onda su questo mezzo può risultare più invasiva rispetto a quella televisiva.
Rilettura di C. CACCIARI, V. MICCIANCIO, La parola via etere. Suoni, rumori e silenzi nella pubblicità radiofonica, p. 11
In una situazione di questo tipo, molto facilmente, la musica pubblicitaria può diventare “tappezzeria sonora”, non fornendo quel valore aggiunto che le è richiesto dalla marca e dal prodotto a cui si affianca. La musica nella pubblicità radiofonica, come in quella televisiva, ha infatti il compito di identificare e distinguere la marca o il prodotto dal flusso incessante della comunicazione.
Ma, in un medium di comunicazione che si pone come quasi esclusivamente musicale, il compito risulta difficile perché, o la musica del prodotto si distingue da quella appartenente alla programmazione, o viene fagocitata da quest’ultima senza speranze comunicative. È molto difficile garantire una resa dello spot radiofonico che attiri l’attenzione del pubblico e non rischi di passare inosservato entrando a far parte del rumore di fondo quotidiano.
Molto di ciò che verrà espresso successivamente per la pubblicità televisiva potrà fornire risposte all’impiego musicale in radio, con la differenza che manca la componente del visual impiegata talvolta in un felice connubio con il sonoro.
Anche le funzioni della musica in ambito radiofonico sono le stesse riscontrabili in televisione. Fermo restando che la funzione principale è di differenziare la pausa pubblicitaria dal flusso radiofonico, la musica deve ricreare in misura maggiore ambientazioni e atmosfere.
Questo compito la rende la sostituta per eccellenza dell’aspetto visivo, del quale ricalca i tratti utilizzando rumori con potere onomatopeico e metonimico, e stili musicali o suoni con effetti figurati e parodistici. L’assenza del codice visivo, quindi, non deve risultare una perdita di potenzialità del messaggio, che può trovare una felice realizzazione sfruttando appieno gli altri due registri e una caratteristica fondamentale del consumatore, che sostituisce e rafforza il visivo: la sua immaginazione.
L’immaginazione è la chiave di costruzione dello spot radiofonico, che deve suscitare al massimo una capacità tipicamente umana di rappresentare, a livello “virtuale”, ciò che non avviene concretamente nella realtà, partendo da uno spunto. Nel nostro caso lo spunto viene offerto dai suoni e da un verbale efficace, i quali attivano nel pubblico tutto quello che manca per la ricostruzione del messaggio, e offrono la possibilità di ideare le più svariate, eccessive e paradossali situazioni alle volte difficili da rendere attraverso le sole immagini.
Rielaborando il pensiero di C. CACCIARI, V. MICCIANCIO, La parola via etere. Suoni, rumori e silenzi nella pubblicità radiofonica, pp. 147-148 nella pubblicità radiofonica, gli elementi acustici come musica, voci, e suoni ambientali lavorano in sinergia per far emergere nella mente dell’ascoltatore un’immagine vivida di ciò che viene narrato. Questo è un processo che può risultare più complesso nella pubblicità televisiva, dove l’aderenza al reale è più stringente. Attraverso la radio infatti, il mix di suoni, parole e musica agisce con immediatezza e impatto, permettendo agli ascoltatori di costruire mentalmente delle scene ricche ed elaborate, grazie all’uso di una narrazione incisiva, effetti sonori stimolanti e melodie avvincenti, in linea con quanto sostenuto da Ritter.
Una musica coinvolgente è proprio ciò di cui necessita la pubblicità, a maggior ragione nel caso radiofonico dove la musica si riveste dell’onere di sostituire e rendere le immagini, contestualizzando il prodotto o la marca e rendendola memorabile. Tale memorizzazione viene resa grazie alla possibilità musicale di enfatizzare, accentuare e ritmare il messaggio rendendolo riconoscibile e affettivamente presente nella mente dei consumatori.
Nei messaggi trasmessi via radio, la musica gioca un ruolo fondamentale: molto spesso ciò si manifesta attraverso il jingle, che, grazie alla sua forte capacità di evocare emozioni, facilita la memorizzazione, aiuta a collocare il contesto e favorisce l’identificazione del marchio. Questa modalità si rivela quindi particolarmente efficace per raggiungere l’obiettivo principale della pubblicità: stimolare l’acquisto.
Liberamente ispirato a C. CACCIARI, V. MICCIANCIO, La parola via etere. Suoni, rumori e silenzi nella pubblicità radiofonica, p. 152
Queste considerazioni trovano dei riferimenti specifici sia per il mezzo televisivo che per quello radiofonico. L’impiego del jingle nei due mezzi comunicazione, nella maggior parte delle situazioni, è il medesimo, specialmente quando la radio è trattata come un semplice rafforzativo di quanto già visto dal consumatore in televisione, e non come un mezzo capace da solo di creare un’identità alla marca e al prodotto.
La classificazione della “parola – ombrello” jingle, in termini più specifici e in associazione a determinate categorie merceologiche, l’impiego affiancato a tattiche esecutive razionali o emotive, l’uso della voce come melodia parlata, le funzioni della musica in pubblicità e i processi di formazione del senso si riferiscono ad entrambi i media, anche se spesso si preferisce concentrare l’attenzione particolarmente sul processo televisivo.
Il ruolo del “rumore” o effetto sonoro nella pubblicità radiofonica
Una differenziazione di cui parliamo in questo ambito è però quella che vede in radio una più rilevante partecipazione del rumore come effetto sonoro e del simbolismo fonico.
Gli effetti sonori rappresentano un caratteristica distintiva delle trasmissioni radiofoniche, un’eredità che la radio ha ricevuto direttamente dal teatro. È possibile narrare un’intera storia utilizzando soltanto il paesaggio sonoro e i rumori che la caratterizzano, senza bisogno di parole: il suono di una bibita che viene aperta, il rombo di un’automobile in accelerazione, il suono sordo di una porta che si chiude violentemente. Tali effetti sonori si sostituiscono agli oggetti e agli ambienti che vogliono rappresentare. In generale, i rumori hanno la funzione di metonimia, ovvero di raccontare il mondo reale attraverso i suoni che lo distinguono. Questi suoni fungono da indicatori del contesto dove ci si trova, segnalano il passaggio da una scena all’altra e così agiscono nello spazio, attirando l’attenzione e contribuendo a creare l’atmosfera desiderata.
Liberamente ispirato da C. CACCIARI, V. MICCIANCIO, La parola via etere. Suoni, rumori e silenzi nella pubblicità radiofonica, pp. 158-159
I rumori e tutti i gli effetti sonori fanno parte, come il silenzio, dell’aspetto musicale pubblicitario e, pur ritrovandoli numerosi anche in televisione, essi caratterizzano maggiormente le pubblicità radiofoniche, proprio per la necessità di rendere il contesto ambientale senza la possibilità di riferirsi alle immagini.
Anche l’effetto sonoro o rumore attua delle funzioni comunicative che risultano molto simili a quelle elencate nell’articolo dedicato alle funzioni della musica in pubblicità.
Le funzioni del rumore o dell’effetto sonoro nello spot pubblicitario sono:
- la funzione di commento, che come dice la parola stessa commenta ciò che accade nel registro verbale;
- la funzione illustrativa, che illustra un referente preciso (ad esempio impiegando nello spot radiofonico di una birra il rumore del tappo che si “stappa”, ci si riferirà al rumore effettuato da questo prodotto);
- la funzione identificativa che sorge quando lo stesso effetto sonoro è impiegato numerose volte associandolo ad un determinato prodotto, cosicché il consumatore ravvisa in questa unione una costante percettiva;
- la funzione fàtica, con la quale l’effetto sonoro, situato in apertura allo spot, attira immediatamente l’attenzione dell’ascoltatore;
- la funzione narrativa dell’effetto sonoro che lo vede collegare situazioni e fornire continuità narrativa alle vicende nello spot;
- la funzione conativa attraverso la quale il messaggio viene enfatizzato;
- la funzione informativa, per mezzo della quale un suono o una sequenza di suoni forniscono notizie riguardo cose, persone o fatti (ad esempio i rintocchi della campana scandiscono il tempo e contestualizzano nella giornata il messaggio);
- la funzione metalinguistica, quando l’effetto sonoro si serve di strategie citazionali che rafforzano oltremodo il messaggio ricorrendo a fatti estranei allo spot ma collegati ad esso.
Queste funzioni relative agli effetti sonori operano spesso insieme nel messaggio caratterizzandolo e rafforzandolo.
Grazie agli effetti sonori, in radio è molto più facile ed economico rispetto alla televisione ricreare ambientazioni e situazioni di vita reale. I rumori di sottofondo permettono, con pochi mezzi e poche azioni, di realizzare una pubblicità in grande stile.
Per lo spot televisivo ricreare l’ambientazione della città, il vociare confuso, lo stress da traffico, in modo tale che lo spettatore riesca ad identificarsi richiede un set, la mobilitazione di comparse e un ingente investimento. Alla radio invece bastano pochi rumori di sottofondo, come qualche claxon o rumori di motore, che già l’impressione di chi ascolta è di trovarsi nel pieno del traffico.
Lo stesso vale per i rumori associati con l’aspetto musicale, ad esempio nella realizzazione di uno spot in cui il contesto è l’isola esotica. Non serve recarsi sul luogo (anche se questa ambientazione esercita sempre grande impatto e fascino sullo spettatore), basterà impiegare la chitarra hawaiana, qualche percussione, il rumore del mare e per il resto può entrare in scena l’immaginazione. L’immaginazione dell’ascoltatore è sicuramente più forte di qualsiasi immagine e, soprattutto, è come egli stesso desidera.
Oggi, l’impiego di rumori e, più estesamente, di effetti sonori non si limita solamente a valorizzare un messaggio verbale già ben fondato, ma va spesso a sostituire le parole, rendendo più memorizzabile il concetto da trasmettere e arricchendolo al tempo stesso di sfumature di significato aggiuntive.
La funzione dei rumori è quindi articolata: essi sostituiscono il linguaggio verbale, trasmettono concetti in modo più diretto e conciso, generando così il contesto scenico in cui la conversazione pubblicitaria si svolge.
Interpretazione di C. CACCIARI, V. MICCIANCIO, La parola via etere. Suoni, rumori e silenzi nella pubblicità radiofonica, pp. 161-163
Anche il silenzio gioca un ruolo fondamentale sia in radio che in televisione.
É in un certo senso paragonabile agli spazi bianchi nel mondo della stampa: non va visto come un tempo perso o come qualcosa di inutile, bensì come un elemento che contribuisce a focalizzare l’attenzione sul messaggio, enfatizzandone l’importanza.
Basato sul pensiero di C. JANNACONE, La radio, un medium vincente, p. 80
Il mezzo radiofonico non è da ritenersi inferiore a quello televisivo, e gli spot che vengono proposti un sottoprodotto di quelli visivi. Semplicemente, è un altro mezzo con delle strategie comunicative molto simili, dove l’aspetto sonoro diventa determinante per contestualizzare quello verbale e dare natura più discorsiva al prodotto e alla situazione. La radio inoltre beneficia in linea generale di un ascolto attivo da parte dell’ascoltatore rispetto all’ascolto spesso passivo del mezzo televisivo.
La radio è tutt’altro che incapace di suscitare immagini ma bisogna darle una possibilità espressiva che glie lo permetta, alcune volte appare perfino più visiva della televisione, proprio perché lascia alla ricca fantasia del pubblico colmare i vuoti.
La radio è un mezzo in cui il potere della parola è immediato, tiene compagnia poiché c’è ovunque, a differenza della televisione che normalmente ci accompagna nella nostra dimensione casalinga.
Inoltre la radio ha la possibilità di personalizzare il messaggio con la sua abilità di inserirsi nel contesto individuale di ogni ascoltatore, creando un’atmosfera di intimità personale che altri mezzi di comunicazione di massa non riescono a raggiungere.
In linea con il pensiero di L. BASSAT, G. LIVRAGHI, El libro rojo de la publicitad, Barcelona, Ediciones Folio, 1993; trad. it. Il nuovo libro della pubblicità, Milano, Il Sole 24 Ore, 1997, p. 212
La radio raggiunge facilmente tutto il pubblico con un messaggio su misura, e perciò agevola il brand o l’azienda, perché non è sempre possibile avvicinare le fasce più giovani e raggrupparle secondo tendenza con il solo mezzo televisivo. La possibilità immaginifica di questo mezzo la rende un luogo pubblicitario ideale per una comunicazione stilisticamente chiara, innovativa e brillante. La musica diventa alleata se riesce a comunicare con questi target secondo il loro linguaggio, e se riesce a creare quelle atmosfere e quelle ambientazioni che suscitino un valore aggiunto al prodotto e al contesto pubblicitario.
La musica nella pubblicità di televisione e cinema
Le caratteristiche della musica e degli effetti sonori nella pubblicità della televisione e del cinema evoluzione e sviluppi
Dai gridi medievali ai jingle musicali
I gridi medievali sono una delle prime forme di utilizzo della musica in pubblicità; i canti e le urla degli ambulanti accompagnati da strumenti musicali.
La musica in pubblicità, dai jingle alle colonne sonore
La musica in pubblicità: articolo introduttivo della tesi di ricerca “La musica in Pubblicità: quale conciliazione mitica degli opposti”.
Bibliografia La Musica in Pubblicità tesi
Bibliografia della tesi La Musica in pubblicità: lista delle le fonti consultate per “La Musica in pubblicità quale conciliazione mitica degli opposti“.